“La promessa” è una saga familiare che inizia nel 1986 con la morte di Rachel Swart una donna ebrea sposata ad un cattolico. Lascia tre figli all’epoca adolescenti, che vivono con il padre e Salome, la donna di colore che li accudisce, in una fattoria nei pressi di Pretoria. Diviso in quattro parti, una per ogni componente della famiglia, il romanzo racconta negli anni a venire, le storie di ognuno di loro: Amor, che tiene insieme i fili della storia, è la terzogenita, colei che sente la madre in punto di morte promettere a Salome, che ha lavorato per loro per tutta la vita, di intestarle il terreno e la casa, una stamberga in realtà, dove ha sempre vissuto; poi è Pa (Manie) che ci parla e smentisce la promessa fatta dalla moglie, e la rinnega negandole perfino il funerale ebraico da lei stessa richiesto in punto di morte. Quindi è il turno di Astrid, la bella sorella maggiore la cui vita sarà costellata da ingiustizie e violenze; e infine ecco Anton, il fratello irrisolto, caustico e sempre di traverso. Il personaggio di cui manca la voce è Salome, la destinataria della casa promessa, che nonostante sia una presenza costante nella vicenda, non viene quasi mai interpellata né raccontata, così come suo figlio Lukas. Non era l’intento dell’autore, raccontare dei neri: il punto di vista della storia doveva essere quello dei bianchi, sottolineando così che le differenze in Sudafrica esistono ancora, eccome! La promessa non mantenuta infatti denunciata da Galgut non è solo quella degli ingrati Swart del romanzo, ma anche quella che il Sudafrica non è riuscito a vincere dopo le ottime premesse degli anni Novanta con la fine ufficiale, nel 1993, della segregazione razziale e l’avvento della democrazia. Nel romanzo si percepisce tutta la delusione dell’autore per il suo Paese dove a tutt’oggi l’uguaglianza non è ancora stata raggiunta e le ingiustizie, la violenza e i soprusi continuano ad imperversare.
Molto avvincente, le pagine di questo bellissimo romanzo polifonico scorrono velocemente anche grazie ad uno stile davvero particolare: l’autore alterna le voci in prima, seconda, terza persona adottando un narratore fluttuante, che cambia anche all’interno del paragrafo, senza mai però disorientare il lettore che viene saltuariamente coinvolto in commenti o riflessioni.
Mi è piaciuto molto, è da leggere, e non solo perché ha vinto il Booker Prize!
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