Ambientato nella campagna russa nel 1859, racconta la visita che due giovani amici, Bazarov e Akadij, fanno ai loro genitori. La prima tappa è a Mar’ino dove vivono il padre e lo zio di Arkadij. La convivenza non è semplice: spesso si discute a causa di dissidi dovuti alle opinioni opposte delle due generazioni. Da un lato infatti, il padre e lo zio di Arkadij sono conservatori, uomini legati alle tradizioni, alle abitudini; dall’altro, i due giovani, Bazarov soprattutto che è spesso sarcastico e indifferente, sono rivoluzionari, contestano il modo di vivere dei padri e i precetti coi quali sono stati cresciuti. Bazarov si definisce nichilista e non perde occasione per polemizzare con chiunque, rifiutando le convenzioni morali e sociali dell’epoca. I contrasti e i disaccordi sono anche più frequenti e violenti durante la visita ai genitori di Bazarov, soprattutto a causa della madre e del suo amore quasi asfissiante per il figlio che la respinge. Tra una visita e l’altra, i ragazzi conoscono due sorelle e se ne innamorano. Il carattere scontroso di Bazarov e il suo rifiuto verso ogni forma di romanticismo, gli impedisce di dichiararsi all’amata e quando capirà che il suo sentimento è troppo forte per resistergli, sarà troppo tardi.
Turgenev scrisse il romanzo nel 1862, quando l’aristocrazia terriera russa stava scomparendo e nasceva il movimento socialista. L’autore descrive le due realtà identificandone gli ideali con i padri da un lato, i nobili conservatori, rigidi nelle loro idee e dall’altro i figli, rivoluzionari, che vogliono cambiare le cose e sono contrari allo stile di vita dei padri. D’altronde, la contrapposizione padri/figli esiste da sempre e guai se non ci fosse! Solo opponendosi al vecchio, ribellandosi alle convenzioni e alle tradizioni, ci si può proiettare verso il nuovo, costruire un futuro che sia diverso e, forse, migliore. Mentre leggevo, mi ritrovavo spesso a pensare quanto attuali fossero le discussioni e le liti padre/figlio descritte dall’autore, una contrapposizione che definirei fisiologica, senza tempo, e che si ritrova facilmente nelle nostre famiglie.
Tantissime sono le mie sottolineature sul libro, eccone alcune:
“…io sento che dietro di loro c’è qualche cosa che noi non abbiamo, una qualche superiorità rispetto a noi… La giovinezza? Non: non la giovinezza soltanto. Non consisterebbe questa superiorità nell’esserci in loro meno tracce di feudalismo che in noi?”
“Certo, signori, voi la sapete più lunga; come potremmo tenervi dietro? Voi siete infatti venuti per darci il cambio.”
“I miei genitori sono occupati e non danno pensiero della propria nullità, essa non li disgusta. Io invece… io non sento che noia e rabbia.”
La mia preferita è questa:
“Che farci, Vasja? Un figlio è un pezzo di carne tagliato via. È come un falco: ha voluto venire, è volato qui; ha voluto andarsene, se n’è volato via; noi due invece siamo come due funghi nel cavo di un tronco, stiamo uno accanto all’altro, e non ci muoviamo mai. Io sola rimarrò per te sempre la stessa, e così tu per me.”
Non vi sembra che siano affermazioni valide anche ai giorni nostri, tra di noi e i nostri figli?
Un classico da leggere!
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