In una palazzina elegante ed ordinata, in un bel quartiere residenziale vicino a Tel Aviv, vivono tre famiglie e ognuna ha una storia da raccontare. Apparentemente scollegati l’uno dall’altro, i tre racconti si connettono nel finale quando l’autore rivela l’ispirazione dell’idea narrativa alla base del romanzo, cioè il concetto freudiano dei livelli, o piani, della psiche e delle parti che la compongono, l’Io, l’Es e il Super-Io. Così al primo piano, troviamo Arnon, preoccupato perché teme che la figlioletta possa essere stata traumatizzata da un’esperienza incancellabile; al secondo abita Hani, casalinga un po’ frustrata che vive, (o forse pensa di vivere) una relazione clandestina con l’uomo più sbagliato possibile. Al terzo piano alloggia Dvora, un giudice in pensione, rimasta vedova da poco, che racconta al defunto marito l’avventura che le permette di ritrovare il figlio che pensava perduto. Com’è difficile, per ognuno di loro, conciliare i diversi livelli della psiche!
Le molteplici voci e i differenti codici narrativi adottati creano tre bellissime storie, intense e molto potenti (soprattutto l’ultima), che analizzano l’animo umano nel profondo. I protagonisti nel raccontarsi, rivelano tutta la loro fragilità e le difficoltà che spesso si incontrano nel vivere in relazione con gli altri. Ci affezioniamo ai protagonisti e vorremmo sapere di più su di loro e soprattutto sull’epilogo delle loro storie, lasciato volutamente e saggiamente in sospeso. Questi non-finali hanno il merito di aprire la porta dell’immaginazione del lettore che può quindi appropriarsi della storia come meglio crede, instaurando un sorta di feeling molto personale con i personaggi.
Trama avvincente, linguaggio chiaro, preciso, scorrevolissimo, invito a riflettere… cosa chiedere d’altro a un romanzo? Da leggere, assolutamente!
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