Kent Haruf è un autore che ho molto amato, di cui ho letto tutti i romanzi (li trovate nel blog, tranne “Vincoli”, il suo primo libro) e del quale apprezzo l’ambientazione, le storie, lo stile, le introspezioni dei personaggi… insomma, tutto! “La strada di casa” in ordine cronologico è il suo secondo romanzo e precede dunque la ormai famosa trilogia composta da “Canto della pianura”, “Crepuscolo” e “Benedizione”, e l’ultimo e imperdibile “Le nostre anime di notte” da cui è stato tratto anche un bellissimo film. La sequenza secondo la quale ho letto i libri è stata quella decisa dalla casa editrice: appena ne pubblicavano uno, lo leggevo immediatamente! E, attenendosi ad un progetto editoriale condiviso con l’autore, prima che questi morisse, gli editori non hanno seguito l’ordine cronologico dei romanzi. Ciò ha permesso al pubblico italiano di capire che il “progetto Holt”, la cittadina immaginata da Haruf dove si svolgono tutti i romanzi, è stato sviluppato accuratamente dall’autore, il quale, nel corso degli anni, l’ha adattato ai personaggi di cui intendeva raccontarci, aggiustando l’ambientazione, intesa in senso più ampio del termine, a seconda della storia. Qui, come in ogni romanzo, tutti si conoscono e si sostengono, fanno parte di una piccola comunità unita e solidale ma che dimostra di saper essere anche spietata nei giudizi e rancorosa verso i cittadini disonorevoli. La novità di “La strada di casa” rispetto ai romanzi seguenti, è che la vicenda è incentrata sul pessimo comportamento di Jack Burdette, un personaggio enigmatico, affascinante ma pericoloso: non tutti gli abitanti di Holt sono brave persone! Si comporta malissimo e a farne le spese sarà Jessie, la giovane moglie, una donna fantastica, forte e volitiva, la cui dignità sarà d’esempio per tutti (e che ricorda tanto Edith, la protagonista di “Vincoli”, una vera eroina!). Alcune ferite fanno fatica a rimarginarsi e perdonare, anche per noi lettori, a volte è difficile. Ecco perché il finale mi ha lasciato a bocca aperta! Devo ammettere che un po’ mi è dispiaciuto che il romanzo si concludesse così, in modo inaspettato, direi fin brusco, anche se effettivamente pensandoci, non poteva essere altrimenti perché solo in questo modo il racconto acquista un vero effetto drammatico. Alla malinconia della storia e di come si conclude, si è forse aggiunta in me la consapevolezza che non ci saranno altri racconti da Holt e che non ci potremo più immergere nelle sue strade, tra i suoi indimenticabili personaggi.
Ora come ora, vorrei non aver letto niente di Haruf, vorrei imbattermi in uno qualsiasi dei suoi romanzi e averli ancora tutti da leggere… beato chi non lo conosce! Mi mancherà!
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