I sette racconti di questo libro, pubblicati nel 1981 soffrendo la concorrenza di Raymond Carver che proprio nello stesso anno pubblica “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”, (nel blog trovate la recensione in Principianti) hanno come protagonisti uomini e donne alla ricerca di una nuova identità dopo gli sconvolgimenti della guerra. Ci vengono presentati nel momento in cui la loro esistenza è nel punto più alto di una parabola, quando inizia inesorabile la discesa verso il basso; è quel momento della vita nel quale essi credono, o meglio, si illudono di poter rimettere in sesto le proprie esistenze, benché, ed è chiaro fin dall’inizio di ogni racconto, esse siano già compromesse e sull’orlo della rovina. Bugiardi, mentono a sé stessi, prima ancora che agli altri, affannandosi alla ricerca di un nuovo destino. Inclini all’abuso di alcol e fumo (proprio come lo stesso Yates), non adempiono ai propri doveri, soprattutto nei confronti dei figli e della famiglia. Sono persone inadeguate, incapaci, vorrebbero apparire diversi da quello che sono, simulando di avere doti che in realtà non posseggono. Sono i disillusi del sogno americano.
Perché dunque leggere questi racconti, vista la meschinità dei loro protagonisti? Perché lo stile unico di Yates grazie alla sua scrittura essenziale e sobria, venata da una sottile ironia, è talmente potente che riesce a portarci dritti al cuore dei personaggi ma, un attimo prima di sprofondare con loro nel buio della disillusione, l’autore inserisce qua e là alcuni elementi positivi ai quali aggrapparsi, dando un senso alla disfatta alla quale assistiamo e spingendoci verso una benevola assoluzione. Sono colpevoli certo, ma vittime di un mondo e di un’illusione troppo grande per loro.
Buona lettura!
#andràtuttobene
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