Ambientato in un tempo passato che assomiglia al Risorgimento, su un’isola penitenziaria non identificata, quattro condannati a morte aspettano l’alba del giorno dell’esecuzione. Sono tutti accusati di aver attentato alla vita del re, ma potrebbero salvarsi semplicemente rivelando il vero nome del nemico della Corona, la cui identità è celata dietro l’appellativo di Padreterno, e che ognuno di loro ha incontrato lungo il proprio cammino. I quattro condannati raccontano le loro storie, confessando a Frate Cirillo, apparentemente un altro prigioniero, i misfatti, i duelli, gli stupri, gli omicidi compiuti. Sono tentati dal rivelare il nome che li salverebbe, ma sono uomini d’onore e non vogliono tradire nessuno.
Al termine dei racconti individuali, avvengono numerosi colpi di scena a sconvolgere la trama e quanto appreso finora. Il romanzo è infatti basato sulla menzogna, sul travestimento, sull’inganno di cui ognuno si avvale e di cui il lettore si rende conto solo nel finale.
Come affermato dall’autore stesso, il genere del libro è difficile da definire: è un romanzo storico ma anche un fantasy, è un giallo ma metafisico, parla di onore ma anche di tradimenti. E, aggiungo io, non è una storia semplice da seguire sia per la lingua ampollosa, come già detto volutamente arcaica e ricca di immagini e iperboli, sia per la trama che si sviluppa su più piani e che si conclude con complicati coup de theatre. Ma ho accettato la provocazione di Bufalino che dedica il romanzo “A noi due”, quasi fosse appunto una sfida che l’autore lancia al lettore, e sono contenta di averlo letto.
Consigliato a chi non si fa spaventare da un testo complesso e che vuole cimentarsi in una lettura davvero stimolante.
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